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***La Riflessione*** IL BACIO DEL PRINCIPE di ANDREA SARUBBI*

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Per il Politico.it questo è un giorno per commemorare. Un giorno per ricordare chi involontariamente è finito sulle pagine dei libri della nostra storia. 2 agosto 2010: sono trascorsi 30 anni dalla strage di Bologna. Ci sembra quindi doveroso mantenere basso il tono del dibattito: vogliamo piuttosto fermarci a pensare a chi è rimasto indietro. Più tardi torneremo a Bologna, ma, cogliendo l’occasione fornita dalla ricorrenza, vogliamo parlarvi anche dell’Aquila. Le macerie sono dovute a ragioni molto diverse, quelle abruzzesi sono ancora calde, eppure anche su queste si stende un colpevole silenzio. Il governo tace. E’ immobile nei palazzi romani. Forse le ha dimenticate, le recenti come le passate. Noi però le ricordiamo ancora. Ed oggi siamo ancora più vicini a chi da quelle piazze sfregiate, in cui da troppo tempo la politica si assenta, chiede dignitosamente l’attenzione delle autorità.

Nella foto, Andrea Sarubbi*

di Andrea SARUBBI*

Ogni volta che il governo mette la fiducia, come sapete, la Camera si ferma per 24 ore. E noi martedì pomeriggio abbiamo impiegato la pausa per andare all’Aquila: non una passerella sotto le luci, ma piuttosto un pellegrinaggio nel dolore; e siccome nei pellegrinaggi, più che parlare, si sta in silenzio, per una volta vorrei restare zitto anch’io e conservarmi dentro le sensazioni.

Farei un torto a quella gente, però, che chiede proprio a noi di tenere l’attenzione viva su un luogo che sembra morto. O almeno ibernato, messo in freezer da un anno e lasciato lì.

C’è un negozio della Chicco, nei pressi della piazza centrale, che ha ancora in vetrina un cartello: “Siamo aperti domenica 5 aprile 2009″. Ecco, L’Aquila è ferma a quel giorno lì, come Biancaneve che – dopo aver mangiato la mela avvelenata – aspetta il bacio del principe per riaprire gli occhi e ricominciare a vivere.

Lo aspetta dalla fine del G8, quando venne abbandonata dagli stessi che si erano appena serviti di lei: finite le passerelle berlusconiane sulle macerie, però, le macerie sono rimaste lì, e se non fosse per il popolo delle carriole sarebbero anche di più. Quei sassi ancora a terra, come un anno fa, danno l’idea di un tempo bloccato per chissà quanto: per le strade, poi, vedi soldati e non muratori, e la scritta “lavori in corso” sui nastri biancorossi che recintano i palazzi pericolanti avrebbe un che di autoironico, se ci fosse spazio per l’ironia.

Gli aquilani non l’hanno persa, in verità, e viene fuori anche nei momenti più accesi dell’assemblea pubblica: quella sotto il tendone, in piazza, che iniziamo travolti dalle accuse e chiudiamo, un’ora e mezza dopo, tra gli applausi.

Ci rimproverano, all’inizio, di non aver fatto abbastanza: né in Parlamento, dove per pochi voti non sono passati alcuni emendamenti che li avrebbero aiutati, né sui mezzi di informazione, dove la favola del miracolo è stata prontamente rimpiazzata dal silenzio quando il padrone del vapore si è accorto che le bugie non reggevano più.

Un anno e quasi quattro mesi dopo, nessuno nega il grande sforzo della Protezione civile (e del governo stesso) durante la prima emergenza: fu un momento – ci hanno ricordato ieri gli aquilani, quasi con le lacrime agli occhi – in cui si ebbe davvero la sensazione di far parte di una comunità nazionale.

Ma quando oggi nomini il governo e i vertici della Protezione civile a questa gente, sale forte la rabbia e si mischia ad una delusione che sa di tradimento. Perché loro a Berlusconi avevano creduto davvero: non quando prometteva crociere e posti letto nelle sue ville, perché il personaggio lo conoscevano già, ma quando assicurava che a settembre, poi novembre, ognuno avrebbe avuto una casa, e che presto L’Aquila sarebbe rinata come prima. Poi cominciò a parlare di new town, una città con villette e giardini sul modello di Milano due. Poi neanche più quello. E Biancaneve aspetta ancora il principe, nella sua bara di macerie.

ANDREA SARUBBI*

*Deputato del Partito Democratico


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