Nella foto, Andrea Sarubbi*
di Andrea SARUBBI*
Ogni volta che il governo mette la fiducia, come sapete, la Camera si ferma per 24 ore. E noi martedì pomeriggio abbiamo impiegato la pausa per andare all’Aquila: non una passerella sotto le luci, ma piuttosto un pellegrinaggio nel dolore; e siccome nei pellegrinaggi, più che parlare, si sta in silenzio, per una volta vorrei restare zitto anch’io e conservarmi dentro le sensazioni.
C’è un negozio della Chicco, nei pressi della piazza centrale, che ha ancora in vetrina un cartello: “Siamo aperti domenica 5 aprile 2009″. Ecco, L’Aquila è ferma a quel giorno lì, come Biancaneve che – dopo aver mangiato la mela avvelenata – aspetta il bacio del principe per riaprire gli occhi e ricominciare a vivere.
Lo aspetta dalla fine del G8, quando venne abbandonata dagli stessi che si erano appena serviti di lei: finite le passerelle berlusconiane sulle macerie, però, le macerie sono rimaste lì, e se non fosse per il popolo delle carriole sarebbero anche di più. Quei sassi ancora a terra, come un anno fa, danno l’idea di un tempo bloccato per chissà quanto: per le strade, poi, vedi soldati e non muratori, e la scritta “lavori in corso” sui nastri biancorossi che recintano i palazzi pericolanti avrebbe un che di autoironico, se ci fosse spazio per l’ironia.
Gli aquilani non l’hanno persa, in verità, e viene fuori anche nei momenti più accesi dell’assemblea pubblica: quella sotto il tendone, in piazza, che iniziamo travolti dalle accuse e chiudiamo, un’ora e mezza dopo, tra gli applausi.
Ci rimproverano, all’inizio, di non aver fatto abbastanza: né in Parlamento, dove per pochi voti non sono passati alcuni emendamenti che li avrebbero aiutati, né sui mezzi di informazione, dove la favola del miracolo è stata prontamente rimpiazzata dal silenzio quando il padrone del vapore si è accorto che le bugie non reggevano più.
Un anno e quasi quattro mesi dopo, nessuno nega il grande sforzo della Protezione civile (e del governo stesso) durante la prima emergenza: fu un momento – ci hanno ricordato ieri gli aquilani, quasi con le lacrime agli occhi – in cui si ebbe davvero la sensazione di far parte di una comunità nazionale.
Ma quando oggi nomini il governo e i vertici della Protezione civile a questa gente, sale forte la rabbia e si mischia ad una delusione che sa di tradimento. Perché loro a Berlusconi avevano creduto davvero: non quando prometteva crociere e posti letto nelle sue ville, perché il personaggio lo conoscevano già, ma quando assicurava che a settembre, poi novembre, ognuno avrebbe avuto una casa, e che presto L’Aquila sarebbe rinata come prima. Poi cominciò a parlare di new town, una città con villette e giardini sul modello di Milano due. Poi neanche più quello. E Biancaneve aspetta ancora il principe, nella sua bara di macerie.
ANDREA SARUBBI*
*Deputato del Partito Democratico